martedì 8 gennaio 2008

Holly Andres - Interview


Giovane artista nata nel 1977 nel Montana e figlia minore di una numerosa famiglia si trasferisce in seguito a Portland dove ha inizio la sua carriera di fotografa e di video artist. Nelle sue immagini Holly Andres ricrea situazioni dal sapore famigliare, tradizionale e vintage, caratterizzate da gesti comuni ma che al tempo stesso immortalano un particolare momento sempre carico tensione.

Sei la più giovane di 10 figli, com’è stato crescere in una famiglia così numerosa?
E’ difficile rispondere perché crescere in quell’ambiente era tutto quello che conoscevo. Solo crescendo mi sono accorta di quanto tutto ciò non fosse convenzionale e sono stata in grado di riflettere su aspetti abbastanza insoliti. La mia famiglia era politicamente conservatrice e cattolica, convinta ed abituata a sottolineare i tradizionali ruoli sessuali. Abitavamo in una zona rurale del Montana in una fattoria vivendo del nostro raccolto. Siamo tutti nati in un arco di 14 anni, quindi siamo quasi coetanei. Diciamo che non c’è mai stato un momento noioso. I soldi erano scarsi, non avevamo molti giocattoli, ne potevamo fare attività che richiedesse un supporto finanziario, ci dovevamo quindi sforzare di trovare un modo creativo d’intrattenere noi stessi. Tutti nella mia famiglia sono in qualche modo creativi, musicalmente, visivamente etc. anche se sono l’unica che ha fatto dell’arte uno stile di vita e una professione.

Quanto del tuo background hai portato nei tuoi lavori?
I miei lavori fanno sempre riferimento a me stessa, arricchiti di racconti personali; Ho sempre fatto arte su ciò che conosco. “Stories from a Short Street” è completamente ispirato a momenti della mia infanzia, comunicati attraverso un gruppo fittizio di fratelli che prendono spunto liberamente da archetipi della mia famiglia. La mia famiglia viveva in una strada chiamata Short, un fatto che riflette anche la brevità dell’infanzia, la natura fugace del ricordo e il “momento decisivo” che definisce la fotografia.

E’ quasi Natale, hai qualche ricordo particolare legato a questo periodo quando vivevi nel Montana?
Certamente! Inoltre sono nata due giorni prima di Natale, da qui il nome “Holly” che ho scoperto fu stato democraticamente scelto dai miei fratelli maggiori. Essendo stata allevata da Cattolica, il Natale è sempre stato trascorso aspettando la messa. Consumando un’enorme quantità di oyster stew e Tom & Jerry, un tipico drink natalizio, caldo a base di rum e brandy, cantando filastrocche e scartando regali. La vigilia terminava con noi dieci che facevamo il pigiama party dormendo tutti nella stessa camera, l’attesa dell’arrivo di Babbo Natale ci teneva svegli fino a tardi. Alla mattina ci allineavamo tutti in cima alle scale, dal più giovane al più grande e scendevamo a cavalcioni sulla scala per ricevere altri regali.

I momenti che rappresenti nelle tue foto sono tutti autobiografici e quindi personalmente da te vissuti o si trattano d’immagini che hai nella tua mente?
Sì ogni immagine è costruita per ricreare un momento specifico e dipingere un ritratto psicologico. Per esempio in FIONA I, in stile Ultima Cena, c’è una famiglia di fratelli dall’età compresa tra i 7 e i 15 seduti intorno ad una tavolo, cenando, mentre la sorella maggiore sta facendo alla minore (me stessa) una permanente fatta in casa, un piccolo momento mondano, che ricordo chiaramente. Questa è stata la prima immagine che ho scattato e che ha ispirato la serie. Questa particolare foto è stata influenzata da un’esperienza che ho avuto col mio ipnotista l’anno scorso. Ho la fobia di volare, poiché il Natale avevo programmato con mio marito un viaggio a Boston per trascorrere le feste a casa dei suoi, decisi di provare con l’ipnosi per alleviare questa paura irrazionale. Cercando l’origine della mia fobia l’ipnotista mi portò indietro nel tempo chiedendomi di ricordare la prima volta che mi sentii paralizzata dall’ansia. Era una sera in cui i miei stavano cenando e mia sorella mi stava mettendo dei bigodini rosa spugnosi, quando trovò la testa di un pidocchio. Mia madre lo mise dentro un barattolo e nonostante non guidasse bene corse in farmacia per vedere di cosa si trattasse ( all’inizio non sapevamo cosa fosse). Ricordo fu davvero una notte stressante per l’intera famiglia che inizio a bollire ogni cosa che io avrei potuto contaminare. Posso ricordare perfettamente la sensazione d’ostracismo, di profonda vergogna e di responsabilità per aver suscitato un tale momento di frenesia. Ma fu proprio mentre stavo rivivendo questo preciso momento che il ricordo dell’odore della permanente, mescolato a quello delle patate e la sensazione delle mie dita sulla tovaglia crearono un varco nella mia mente. Questa esperienza d’ipnosi mi ha portato a voler ricreare tali immagini.

Ci sono molti dettagli nelle tue foto quanto tempo impieghi a trovare ogni singolo oggetto e a sistemarlo per la foto?
Ogni set è minuziosamente costruito, compresi costumi ed oggetti. Trascorro molto tempo nei thrift shops, che rappresentano la parte informativa del processo. Spesso mi capita di rimanere colpita da un oggetto che trovo e che mi evoca immediatamente un ricordo e intorno ricostruisco un’immagine nuova. Il mio seminterrato è pieno di props potenziali per queste foto, sono tutti fotograficamente documentati. Ci vogliono diversi giorni per sistemare tutto.

Dove trovi i ragazzini per le tue foto?
Avevo messo un annuncio sul sito Craigslist e quando le persone mi hanno risposto mandandomi i loro ritratti li ho tutti allineati sul monitor del computer per cercare di creare la famiglia più credibile. Alcuni bambini sono anche figli di amici.

So che sei anche una professoressa alla Portland State University e all’Art Institute di Portland, che tipo di insegnate sei?
Sono una professoressa relativamente giovane, credo di portare idee fresche che si possono facilmente relazionare con i miei studenti. Sono nota per la mia attenzione ossessiva ai dettagli e mi aspetto lo stesso impegno nel lavoro dei miei studenti.

Abiti a Portland, ci sono stato 3 volte in passato e ricordo che c’era una grande scena underground con band come The Dandy Warhols e Le Tigre è ancora così?
Sì, Portland ha una grande scena musicale, innovativa, sperimentale ed accessibile. Le Tigre sono una delle mie band preferite, nonostante abbiano lasciato Portland per migliori opportunità! Col mio amico e collega Grace Carter, abbiamo creato un video per la loro canzone “They Want To Make A Symphony Out Of The Sound Of Women Swallowing Their Own Tongues”.

C’è un messaggio particolare che vuoi comunicare attraverso le tue foto?
M’interessa rivisitare, ricreare e conservare la storia. Mi affascina mescolare realtà e finzione, e trovare un posto in cui l’autobiografia e la narrazione inventata s’incontrano. Attraverso la serie “Short Street”spero di comunicare elementi riservati, pensierosi e dark dell’infanzia, che alla fine sono superabili e a cui tutti possono relazionarsi.

Stai lavorando a qualcosa di nuovo?
Sto preparando un nuovo corpo di lavoro per una personale, la cui premiere è a giugno 2008 alla galleria Quality Pictures Contemporary Art di Portland. Consisterà in una serie di foto narrative di ragazze adolescenti, incluso una serie di gemelli identici che riproduco attraverso la composizione digitale. Le protagoniste saranno rappresentate in scenari misteriosi nel momento cuspide in cui stanno per scoprire qualcosa di grande importanza acquisendo conoscenze segrete. Con una luce più drammatica. Sono ispirate alle copertine di libri di Nancy Drew, alla cinematografia di Alfred Hitchcock ai film horror anni settanta come “Suspiria” di Dario Argento ma senza il sangue denso.

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