mercoledì 29 dicembre 2010

Brandon Herman - Interview


Quanto è cambiata la tua vita dall’ultima volta che ti ho intervistato, un paio di anni fa?
Tanto? Haha, non so. Per quanto riguarda il mio lavoro, credo che la mia attitudine sia diventata molto meno contenuta. C’è sempre stato un elemento esperienziale nel quale mi piace usare l’arte come un catalizzatore per avere esperienze, ma l’ho spinto molto più in là. In ogni progetto confondo sempre di più le righe tra quando e dove il lavoro inizia e finisce. Per il progetto intitolato “My Vacation With A Kidnapper," una parte del concetto era che andassi in vacanza con un perfetto sconosciuto. Così ero a Los Angeles con questo ragazzino che avevo scelto, che conoscevo appena e che era partito da New York con me, ed ero stressato perché prima di allora avevo sempre fotografato amici stretti ed ora mi ritrovavo senza quell’intimità e confidenza ed ero preoccupato per tutti i soldi che stavo spendendo per quel viaggio chiedendomi se avevo sbagliato. Avevo poi chiesto al produttore di trovare dei posti e coordinare tutto e lui aveva una personalità volatile e litigavamo continuamente. Prendevo anche degli antidepressivi ed ho deciso a metà strada che non stavano funzionando, così ho smesso di botto, senza diminuirli gradualmente come si dovrebbe fare, e ciò mi ha fatto realmente impazzire, mi capitava di essere maniaco per due ore e poi aver voglia di piangere per 45 minuti. E’ stato intenso. E carico di emozioni. Ed anche se all’epoca era orribile, mi sono reso conto di aver in realtà semplicemente aumentato l’intensità ed il senso del viaggio delle esperienze che potevo creare. E ho attribuito ciò principalmente al fatto che vi era stata una struttura con la quale mi ero avvicinato al progetto (ossia il mio concetto, i miei interessi, la mia ricerca, il materiale d’ispirazione che avevo raccolto, i posti nei quali volevo andare, le richieste che avevo fatto del produttore) che erano tutti gli elementi che stavo controllando, e poi c’erano i fattori confusionali che ho citato prima (l’abbandono degli antidepressivi, le liti con il produttore –oh l’ho anche licenziato a metà lavoro, il che ha reso il tutto ancora più caotico, e prendevo molto Vicodin). Così quello è stato un punto di svolta per me e da lì in poi ho iniziato a vedere il lavoro come un gioco con un certo numero di elementi controllati e di fattori caotici. Ed è così che lavoro da allora.

I tuoi nuovi lavori evocano le atmosfere più tangibili di ambienti e luoghi. Quanto è stato influenzato il tuo lavoro da set familiari a te, come Hollywood e i sobborghi di Los Angeles?

Hollywood e Los Angeles in generale hanno avuto una grande influenza. Sono sempre stato interessato al modo in cui la fantasia colora la percezione del mondo reale. Vi è lì una tale relazione difficile da spiegare. Quando si pensa alla fantasia, si pensa alla creazione dell’immaginario all’interno dello spazio mentale, e ciò sembra caratteristicamente contraddittorio nei confronti di un’esperienza sensoriale del mondo fisico che ci circonda. Ma obietterei che qualsiasi informazione sensoriale che si ha è sempre fatta in questo modo attraverso il filtro delle fantasie di ognuno, anche originariamente formate tramite informazioni sensoriali originariamente ricevute dal mondo esterno. Direi che è impossibile separare del tutto il reale dall’immaginario. C’è così tanto qui a Los Angeles da far esplodere la mia fantasia che nella mia testa vivo costantemente in un mondo da film. Questo posto ha questo potere. Leggo anche libri ambientanti a Los Angeles, per far sì che diventi nuovamente esotico questo posto che sta diventando invece per me molto familiare. Ma non ho necessariamente bisogno di far ciò. Ironicamente, la maggior parte dei lavori più recenti non è stata in realtà fatta qui. Ma proprio come in un film di Hollywood, a volte devi andare sul posto e portare Hollywood altrove.

Ieri sera leggevo un articolo sul nuovo libro di Bret Easton Ellis Imperial Bedrooms, lui ha lasciato NY perché non era stimolante, mentre Jay McInerney diceva che non avrebbe mai lasciato NYC. E’ vero che ti sei trasferito a Los Angeles a causa della mancanza di ispirazione che sentivi a NYC?
Sembrerà strano, ma Bret Easton Ellis è il mio autore preferito anche se non ho mai letto uno dei suoi libri. Li ho tutti, ma non riesco a leggerli. Credo di non voler rovinare la piena comprensione che ho di lui e del suo lavoro. Guardo le sue foto e l’ho visto ad una inaugurazione ed ero totalmente ipnotizzato e conosco esattamente l’emozione che si prova nel leggere i suoi libri. Ho avuto la stessa esperienza con Sharon Tate. Ho deciso di realizzare un intero progetto intorno a lei ma non ho mai visto nessuno dei suoi film. Conoscevo solo la storia del suo assassinio e poi ho fatto delle ricerche sulla sua vita e sulle vite delle persone a lei collegate come Polanski ed ho trovato dettagli intimi su molte cose che ruotavano attorno a lei, ma non ho mai voluto realmente vivere quell’esperienza che sono sicuro molti direbbero che è il dettaglio più importante che la riguarda, i suoi film. Ritengo però di avere una piena comprensione di chi sia lei e di come potrebbero essere i suoi lavori cinematografici.Forse mi piace semplicemente avere quei buchi da riempire con la mia fantasia. Forse troppi dettagli possono essere limitativi.

Cos’è che ti ispira a Los Angeles?

Sembra come se ci fosse sempre al tramonto. Il cielo è bellissimo.È drammatico. Ed il paesaggio è drammatico. Un panorama a Los Angeles va avanti per un tempo illimitato. Fuori dalla finestra della mia camera proprio ora vedo questa nebbia fitta ed una coltre di nubi su tutte le colline di Hollywood e mi sento come se stessi guardando la foschia che copre una città in collina nel Congo. Ma la mia strada sembra Miami. L’altro giorno andavo in bicicletta qui vicino ed avrei giurato di essere in Inghilterra. A New York ti sembra fondamentalmente sempre di essere a New York. New York è grande, ma ti dà anche quella sensazione di finito e contenuto, impilato su se stesso. Los Angeles è una distesa. Sembra infinita. Credo che questo richiami la mia idea dei panorami.

Ci sono tempi in cui una città t’ispira più di un’altra, come dicevamo mesi fa, è dal 1993 che non vengo a Los Angeles. Non so, ma sento che ora mi potrebbe stimolare, come invece non lo ha fatto quando sono venuto lì per la prima volta. Se venissi a trovarti, dove mi porteresti per farmi amare questa grande città?
Se fossi totalmente incaricato di creare una “Los Angeles experience” per te e la posta in gioco fosse quella di insegnarti ad amare L.A. altrimenti moriresti, chiederei di farti invertire i tuoi ritmi del sonno, ti farei svegliare al tramonto ed andare a dormire all’alba. In quel modo apriresti gli occhi avendo davanti la bellezza sporca, viva e un pò brilla che si trova nel tramonto di Los Angeles. E poi vivresti L.A. di notte, che è a mio avviso, la Los Angeles più entusiasmante. Qualcosa nella geografia di questa città implica l’esistenza di un ventre oscuro molto diverso da qualsiasi altra grande città in cui sono stato. L’espansività qui ti permette la privacy. E la privacy permette l’esistenza di un lato più oscuro e sporco. E al di sopra, intorno e in cima a questo lato oscuro risplendono i neon del Sunset Strip, i fari degli stop sulla superstrada, le luci degli elicotteri della polizia, i riflettori delle prime dei film, i fari che attraversano Laurel Canyon nella vallata. Delle notti andremmo in bicicletta, sfrecciando tra le strade per vedere tutto da vicino, alla ricerca di strani ristoranti, bar nascosti, feste private e club di striptease. Altre notti invece andremmo in macchina per andare oltre e vedere da più lontano, prenderemmo del cibo da asporto in macchina, parcheggeremmo l’auto e ci ubriacheremmo, sfrecceremmo per le curve di Mulholland con le gomme stridenti e prenderemmo la superstrada fino al deserto e fino all’oceano.

Ok Brandon, mi hai convinto! Tornado al tuo lavoro quando vedi la foto nella sua forma finale, quanto si avvicina a quella che avevi concepito nella tua testa, che avevi visto nella tua testa prima che il tutto prendesse forma? Esiste già nella tua mente, forse per lungo tempo, o semplicemente accade?

Prima avevo immagini molto specifiche nella mia testa e cercavo di ricrearle. Ma ora sono più per l’esperienza e la confusione e per l’essere travolto dal gioco che ho creato fino al punto in cui mi perdo nella mia stessa fantasia. E poi voglio che il lavoro siano piccoli souvenir di questo. Fotogrammi di un film in cui vivo con i protagonisti.

Una volta mi hai detto : “Rubo da ogni artista, film, rivista, da tutto”. Da dove hai rubato questa volta per queste nuove serie?

David Lynch. Sempre David Lynch. Kenneth Anger. Gregg Araki.

C’è un’atmosfera noir nei tuoi nuovi lavori. Me ne parli?
C’è qualcosa di liberatorio nell’oscurità. Quando faccio un lavoro, tutte le persone coinvolte (anche quelle che non sono nelle foto) hanno dei personaggi che ho creato per loro e facciamo molti giochi di ruolo. L’oscurità rende tutto ciò più pericoloso. La luce del sole rivela troppo. Al buio, c’è molto da riempire con la fantasia ed io trovo tutto ciò molto eccitante.

Mi dici qualcosa sulla ragazza bionda?
È un’attrice di Los Angeles. L’accordo che ho fatto con lei consisteva nel darle un viaggio gratuito di due settimane per l’Europa in cambio di una falsa identità da me pensata per lei per tutto il tempo. Così abbiamo fatto fare su misura tutto il guardaroba e le parrucche ed inventato nome e storia. In realtà c’è più di una ragazza bionda. E la seconda ragazza faceva anche la parte del produttore e contemporaneamente le è stato chiesto di osservare la prima ragazza per la prima settimana e poi di assumere la sua falsa identità per la seconda settimana. Avevamo dei doppioni di ogni parrucca e vestito, quindi abbiamo potuto farlo. Avere poi il produttore che aveva un ruolo ha favorito la confusione ed il caos.

Molte di queste foto sono state scattate durante la notte. Che tipo di pensieri hai solitamente al buio?

Pensieri sporchi che fanno paura. Penso di aver bisogno d’aiuto. Ah Ah

Nessun commento: